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Esistono persone al mondo che se si trovano in presenza di cellulari, computer e Wi-fi si sentono male e devono allontanarsene.

Li chiamano “elettrosensibili” e sembra che il loro corpo non riesca a sopportare di trovarsi vicino a campi elettromagnetici. Eppure, in una società come la nostra, questo significa isolarsi e allontanarsi da tutto e da tutti. Soprattutto ora che in Italia sta approdando il 5G.

Rispetto ai progetti fotografici già affrontati da altri, ho da subito sentito l’urgenza di approfondire non tanto l’aspetto generico ma la conoscenza di una persona in modo specifico: Erika.

Perché Erika? Perché ha vissuto a Vigevano come me, perché Vigevano fa parte di un territorio con una bellezza apparente ma che di fatto nasconde altre problematiche. Qui ci sono le mie radici e anche se ci sono molti luoghi in Italia in cui le cose accadono, io sento il bisogno di indagare su questo territorio che conosco ma che non sempre gli altri conoscono.

Perché Erika potevo essere IO e volevo assolutamente raccontare le sue giornate standole vicino. Volevo entrare nella sua casa per conoscere quell’isolamento sociale al quale è stata costretta, volevo capire quanta sofferenza e paura ci siano dietro questi disturbi poco noti. Volevo conoscerla in quel tempo ciclico, regolare e costante di giorni che diventano settimane.

Le giornate di Erika si assomigliano, come i suoi vestiti sempre uguali, come il suo orizzonte e i suoi spazi vitali limitati.

In questo progetto fotografico, raccontare una settimana di Erika equivale a raccontarne un mese o un anno: la ripetitività sarebbe solo più estesa.

Ho individuato la casa a San Giorgio Lomellina, dove Erika è letteralmente scappata dal cartello “STOP 5G” prima ancora che dal numero civico.

La porta di casa si apre e mi accolgono Erika e Angelo, suo marito. Una villetta apparentemente normale, ma una volta entrata ho capito subito che quella non era una casa ma una roccaforte costruita intorno ad Erika per proteggerla.

Non ci sono elettrodomestici, la casa è schermata e priva di wi-fi, persino le tende e le piante in giardino servono per schermare.

Erika soffre da molti anni di ipersensibilità ai campi elettromagnetici (EHS). Vive da reclusa e molte cose le sono ormai praticamente vietate (il lavoro, la vita sociale , anche viaggiare è un grosso problema).

Gli elettrosensibili sono per tutti malati “invisibili”. I campi elettromagnetici sono sempre esistiti, producono onde il sole, le stelle, alcuni fenomeni meteorologici come i temporali. Ma a questi campi di origine naturale si sono sommati quelli artificiali.

L’uomo moderno conduce la propria esistenza immerso sempre più in un vero mare di campi elettromagnetici. Da quelli a bassa frequenza generati dagli impianti elettrici di qualsiasi apparecchiatura domestica o industriale fino a quelli ad alta frequenza riconducibili a cellulari, Wi-Fi o qualsiasi dispositivo “senza fili” ai ripetitori televisivi, radio e molto altro ancora.

Erika si confeziona abiti con un materiale speciale ideato per la protezione dalle onde elettromagnetiche costituito da da un misto di tessuto e lega metallica, atto a schermare le onde nocive.

Questa vestizione, così particolare, mi ha ricordato l’usbergo, la protezione realizzata in tessuto di maglia metallica che indossavano i cavalieri medioevali sotto le pesanti armature. Se la sua consistenza è chiaramente differente, non lo è il suo scopo.

Erika è, nel mio immaginario, un cavaliere che lotta contro un nemico invisibile come invisibile ai nostri occhi è la sua malattia.

Oltre ai tessuti speciali, anche alcuni minerali e piante sono in grado di assorbire le onde nocive.

Il titolo del progetto fotografico è “Costellazioni personali” e prende il nome da una mappa reale estratta dall’archivio del Catasto Regionale degli Impianti e da me sintetizzata in un’immagine astratta.

Sono intervenuta collegando con un filo ogni impianto del territorio partendo dal Comune di San Giorgio dove vive Erika: ne esce una sorta di fantasioso planetario. Siamo soli come stelle nel cielo, apparentemente vicini ma distanti anni luce. Ma il problema di uno, diventa inevitabilmente concatenato anche a quelli degli altri.

Puoi trovare altri progetti fotografici di Paola Rizzi sul suo sito web e su Instagram.

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