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L’inconscio collettivo, secondo Jung, è un contenitore psichico universale. Una immaginazione primordiale comune agli esseri umani che racchiude gli archetipi, cioè le forme o i simboli che si manifestano in tutte le culture e in ogni tempo.

In questo senso la violenza della pena di morte, il focaultiano «splendore dei supplizi», può assurgere ad archetipo della sofferenza e del male che pervade la vicenda umana, individuale e collettiva.

Elementi negativi che rimuoviamo dalla nostra esperienza nel rifiuto ostinato di ogni contatto con il dolore, ma che l’inconscio collettivo fa riaffiorare.

“A history of violence” è un progetto fotografico in cui le nostre vite quotidiane, il nostro benessere, i nostri riti mostrano il loro lato oscuro e diventano allegorie di esecuzioni capitali.

«Sono sempre stato ossessionato da questa immagine del dolore, al tempo estatica e intollerabile». Lo scrive Bataille a commento della fotografia che ritrae il supplizio cinese della morte dai mille tagli, inflitto nel 1905 a Pechino a un certo Fu-Chu-Li, assassino.

La pena capitale accompagna l’intero percorso della storia umana, assumendo forme differenti a seconda dei contesti. Può diventare una macchina feroce di espiazione, vendetta e castigo. Può essere uno strumento supremo di deterrenza per porre un freno al crimine e disciplinare la folla, esibizione spettacolare della crudeltà del potere volta a sbalordire, meravigliare e divertire.

Nel progetto fotografico “A history of violence” la documentazione dell’orrore è sublimata dagli ambienti borghesi, a distanza dal registro morboso che potrebbe accostare la rappresentazione dell’esecuzione a una deriva pornografica.

Per essere più consapevoli, come dice la Sontag in “Davanti al dolore degli altri”, «di cosa siano capaci di fare gli esseri umani ai danni dei propri simili» e provare empatia. Quella sensazione per cui si sente di poter partecipare in qualche modo alla sofferenza dell’altro.

Puoi approfondire i lavori dell’autore del progetto fotografico “A History of violence”, Roberto Solomita, attraverso il suo profilo Instagram.

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